Il Lago Aral

Karakalpakstan, Uzbekistan

Nel nord-est dell’Uzbekistan si trova la valle di Ferganà, la zona più ricca del paese, perché molto fertile, a sud, sud-est ci sono le catene montuose del Tien Shan e del Pamir che fanno da confine con il Tagikistan e l’Afganistan. Poi andando verso ovest deserto, solo deserto.

Il Kizilkum, che significa deserto rosso a nord verso il Kazakistan, e il Karakum, deserto nero, invece a sud condiviso con il Turkmenistan. Recentemente si è formato un terzo deserto, l’Aralkum. Siamo nella Repubblica autonoma del Karakalpakstan. Significa Terra del colbacco nero, parlano il karakalpaco, un dialetto di origine turca, hanno sempre seguito i loro animali al pascolo, e una volta erano anche pescatori. Ho detto una volta perché fino a qualche decennio fa l’Aral era il quarto lago più grande al mondo. Gli antichi lo chiamavano addirittura Mare d’Aral. I Sovietici, nei primi anni sessanta decisero di prelevare, tramite l'uso di canali, l'acqua di due fiumi, l’Amu Darya e il Syr Darya, che sfociavano nel lago, nel tentativo di irrigare il deserto per coltivare riso, meloni, cereali, e soprattutto per irrigare i nuovi e vasti campi di cotone delle aree circostanti. Ciò faceva parte del piano di coltura intensiva per il cotone voluto dal regime sovietico che aveva il fine di far diventare l’Urss una delle maggiori esportatrici. Il lago d'Aral è vittima di uno dei più gravi disastri ambientali provocati dall'uomo. Infatti, originariamente il lago era ampio all'incirca 68 000 km quadrati, ma dal 1960 il volume e la superfice sono diminuiti, e già nel 2007 il lago era ridotto al 10% della dimensione originaria, soprattutto nella parte Uzbeka, perché nella parte Kazaka è stata realizzata una diga che ha permesso di non disperdere ulteriormente l’acqua e la situazione negli anni è migliorata, ma il lago è ora diviso in due. La prospera industria della pesca basata sul lago è stata dismessa, provocando disoccupazione e difficoltà economiche. Al giorno d'oggi la regione è fortemente inquinata, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica, alle vie respiratorie e alla vista per esempio. Al centro del lago una volta c’era un’isola dove i Sovietici facevano anche degli esperimenti di prodotti chimici, tra i quali l’utilizzo di antrace, che ovviamente si è disperso per l’ambiente. Il ritirarsi del lago ha causato anche il cambiamento locale del clima con estati sempre più calde e secche mentre gli inverni sono sempre più freddi, e violente tempeste di vento trasportano la sabbia e il sale per centinaia di chilometri. Il porto di Moynak, la città più importante che arrivò ad avere una popolazione di circa centomila abitanti, quasi tutti occupati nel settore ittico, oggi è semi abbandonata, dove solo lungo la strada principale c’è una parvenza di normalità, il resto è assolutamente in declino. Oggi per arrivare a toccare l’acqua del lago bisogna seguire per ore piste sabbiose in fuoristrada, percorrendo quello che era il fondale del lago. Non si incontra nessun segno di vita, anche gli animali che una volta pascolavano intorno al lago non ci sono più, si incontrano solo pozzi di gas metano, generalmente di proprietà Russa o Cinese. Ora i pescatori di una volta si sono reinventati con la pesca delle uova di Artemia, un crostaceo che vive nelle profondità del lago, l’unico essere vivente in grado di sopravvivere all’alta salinità dell’acqua. Queste uova vengono vendute al mercato cinese per la ricerca farmaceutica, per l’industria cosmetica e agroalimentare. I pescatori passano l’intero periodo invernale accampati sulle sponde del lago in sistemazioni a dir poco spartane. Nell’Aralkum, il governo sta cercando di contrastare il disastro ambientale, il cambio climatico e la continua ulteriore desertificazione, piantando migliaia di alberi, ma il destino del lago e della popolazione che vive nella regione, almeno nella parte Uzbeka, è ormai segnato.